La Storia
Il sito di questa area marina protetta è anche ricco di storia. Le secche che circondano la Torre della Meloria hanno rappresentato per secoli un baluardo naturale contro le incursioni nemiche e riferimento geografico marino della Repubblica Marinara di Pisa, ma sono state anche luogo di numerosi naufragi ed in queste acque giacciono relitti e reperti di numerose navi militari e civili a partire fin dell’epoca dei Romani, che fanno delle Secche un sito archeologico sottomarino di primaria importanza.
Il nome “Meloria” pare infatti che si origini dal non piacevole appellativo di “malora”, termine talora riportato su alcune antiche carte nautiche, cioè un termine che identificava un luogo pericoloso, rischioso per la navigazione.
Dai documenti storici risulta che, a seguito dei frequenti naufragi di imbarcazioni che si dirigevano verso il porto pisano, la Repubblica di Pisa, nel 1150, decise di erigere nel punto più alto della secca una prima torre che segnalasse il pericolo e che fungesse anche da punto di vedetta contro attacchi saraceni e di nemici in genere. La torre fu costantemente costellata da fiaccole accese, divenne così un vero e proprio faro per la navigazione dell’epoca, tant’è che in molte carte geografiche in uso al tempo fu identificata e riportata col nome proprio di “lanterna”.

La torre, per la sua posizione, non ebbe vita facile: fu danneggiata dagli agenti marini e riparata più volte, ma fu anche distrutta da battaglie e ricostruita.
La prima torre pisana fu distrutta nella famosa battaglia della Meloria. e ne fu ricostruita una nuova solo nel 1598 per volontà del Granduca Ferdinando I de’ Medici, allorquando decise di abbandonare definitivamente l’ormai inutilizzabile “portus pisano” e di fondare il nuovo porto nell’attuale Livorno. Successivamente anche questa seconda torre venne abbattuta dalla forza del mare e nel 1712 venne riedificata sotto Cosimo III, Granduca di Toscana, nella configurazione che tutt’oggi possiamo osservare: una struttura a base quadrata, che si erge per 15 metri sopra il mare e poggia su quattro pilastri uniti da 4 archi ogivali utili a ridurre l’impatto delle onde sulla torre stessa. Sulla facciata che guarda a sud il granduca fece apporre una lapide in cui si legge “PRO NAVIGANTIUM SECURITATE AD LATENTES SCOPULOS EVITANDOS“, ovvero “per la sicurezza dei naviganti, affinché evitino gli scogli nascosti”. Questa torre, però, rimase priva di un moderno sistema di segnalazione con illuminazione notturna adatto alla moderna navigazione, e così nel maggio 1867 venne affiancata, poco più a sud, da un faro con struttura cilindrica in metallo alto venti metri, colorato a fasce giallo/nero (attualmente le secche sono segnalate anche da un altro faro posto sulla testa nord della secca, denominato localmente “ship-light” e una meda elastica ad alimentazione fotovoltaica). Per secoli la torre venne abbandonata al logorio delle tempeste, senza ricevere alcuna manutenzione, tanto che, nel 1980, presentava una condizione statica disastrosa con le colonne corrose da oltre duecento anni di mareggiate. L’importanza storico-architettonica del monumento spinse il mondo culturale livornese e pisano a fare pressione sull’Amministrazione Regionale per un intervento di salvataggio. Nel 1986 la Provincia di Livorno è quindi intervenuta consolidando i pilastri e riportando la torre nelle condizioni tali da potere testimoniare l’antico splendore.



La battaglia della Meloria, che si svolse il 6 agosto 1284 tra le Repubbliche Marinare di Genova e di Pisa proprio nelle acque circostanti la torre, è diventata l’evento storico più famoso di questo sito. Si narra che lo scontro venne scatenato alcuni giorni prima da un attacco dei Pisani direttamente contro il porto di Genova, mentre buona parte della flotta genovese era occupata in Sardegna, terra di cui le due città si contendevano il dominio. In quel contesto il comandante genovese Benedetto Zaccaria riuscì a mettere in fuga i Pisani con l’astuzia: infatti, trovandosi in netta inferiorità numerica di navi, retrocesse verso la costa ligure dove però i toscani trovarono altre 68 galee a difendere la città. Prima di ritirarsi la flotta pisana scagliò una pioggia di frecce argentate in segno di sfida. La risposta dei Genovesi all’affronto pisano arrivò così il 6 agosto, proprio il giorno in cui si festeggiava nella città pisana San Sisto il santo patrono. Si narra che durante la cerimonia per la benedizione delle navi, il bastone con la croce d’argento dell’Arcivescovo si sia spezzato: nessuno però fece caso al segnale premonitore in quanto San Sisto era l’anniversario di una trentina di passate vittorie nella storia della Repubblica pisana.
Nella flotta ligure si distinguevano due schieramenti principali: le 63 galee guidate dall’ammiraglio Oberto Doria, pronte all’attacco diretto, mentre un gruppo di altre 30 navi guidate dal comandante Zaccaria rimasero in disparte per cogliere i pisani di sorpresa. Questi ultimi erano guidati dal capitano Morosini (assoldato dai Pisani a Venezia) e dal Conte Ugolino della Gherardesca. Forti di una superiorità di ben 9 navi rispetto alle 63 della flotta genovese (escluse quelle che si erano nascoste), i pisani decisero di uscire dal porto per rispondere direttamente all’attacco. Le tecniche di guerra del tempo erano quelle di scagliare contro il nemico qualsiasi tipo di munizione e oggetto lesivo come pece bollente o calce viva, mentre si tentava l’abbordaggio delle navi dopo averle speronate col rostro di cui le galee erano munite. Gli scontri erano molto violenti e sanguinosi. Dopo qualche ora di conflitto arrivarono però le altre 30 navi genovesi, fino ad allora rimaste nascoste, forse nella foschia dell’orizzonte estivo, per dare il colpo di grazia ai pisani. Fu usata una tecnica particolare: due navi, tra le più veloci, circondarono l’ammiraglia pisana e portando un cavo teso tra esse tranciarono l’albero dell’ammiraglia per cui la stessa insegna del Morosini fu strappata. Le uniche navi che si salvarono furono quelle comandate dal Conte Ugolino della Gherardesca, che fu pertanto accusato di tradimento e abbandono della battaglia.
I morti in battaglia furono oltre cinquemila, mentre i prigionieri furono circa diecimila tra cui il Morosini stesso e il celebre Rustichello che aiutò Marco Polo a scrivere “Il Milione”. Tutti furono portati nel quartiere genovese che prese il nome di Campo Pisano: “Andate a Genova, se volete veder Pisa”, si diceva dopo quella battaglia. Dopo 13 anni di grandi sofferenze i superstiti vennero liberati. Dei circa diecimila prigionieri portati a Genova, solo un migliaio potette fare ritorno in patria. Il toponimo Campo Pisano identifica tuttora una zona di Genova vicina al porto. Le legende genovesi narrano che le anime senza pace dei prigionieri pisani siano ancora presenti nella zona denominata Campo Pisano, e c’è chi afferma che nelle notti di tempesta si possano ancora scorgere le sagome dei prigionieri pisani che in catene risalgono la scalinata che dalla Marina porta in Campo Pisano… (www.isegretideivicolidigenova.com). La pace venne firmata dalla Repubblica di Pisa soltanto nel 1288 con condizioni pesantissime, tra le quali la rinuncia alla Corsica ed agli altri possedimenti in tutto il Tirreno. Pisa rispettò parzialmente questo trattato di pace, tanto che Genova nel 1290 attaccò nuovamente e distrusse l’intero Porto Pisano. La grande catena posta a protezione dell’ingresso del porto di Pisa fu portata a Genova, spezzata in varie parti che furono appese a Porta Soprana e in varie chiese e palazzi della città. Furono restituite a Pisa solo il 22 Aprile 1860 e da allora sono conservate nel Camposanto Monumentale della città. Solo un anello della catena non fu mai restituito ed è conservato tuttora nel borgo di Moneglia (vicino a Genova) all’esterno della chiesa di Santa Croce. La battaglia, vinta dai Genovesi, segnò l’inizio del declino della Repubblica Marinara di Pisa e l’ascesa del predominio genovese su tutte le acque del Mediterraneo occidentale.
Il declino della Repubblica Marinara di Pisa privò per molti lustri le terre toscane di una grande marineria ed in conseguenza di porti strutturati. In questo periodo storico Livorno non era altro che un piccolo borgo costiero prevalentemente di pescatori, il cui nome “Liburna” risulta documentato per la prima volta intorno all’anno 1000. Questo villaggio, nato inizialmente come punto di rifornimento secondario delle navi pisane, acquisì sempre più importanza col progressivo insabbiamento del Porto Pisano e poi con la distruzione di quest’ultimo da parte dei Genovesi. Sotto il Doge Pietro Gambacorti, nel 1392, Pisa ne decretò anche una prima forma di fortificazione con mura simili a quelle che circondavano la città pisana. Sarà comunque soltanto dopo l’avvento dei Medici in Toscana che Livorno comincerà uno sviluppo come vera e propria cittadina basata sulla portualità; in particolare nel 1577 Cosimo de’ Medici ne fece uno il più importante porto della Toscana con grandi prospettive sull’intero bacino del Mediterraneo. Il suo successore, il figlio Ferdinando I, Granduca di Toscana dal 1587 proclamò il porto di Livorno “porto franco” e dal 1590 al 1603 furono emanate le Leggi Liburnine che garantivano privilegi a coloro che si fossero stabiliti a Livorno ed alle quali si devono anche i futuri sviluppi di cittadina cosmopolita e multirazziale. Infine il 19 marzo del 1606 Ferdinando I elevò Livorno al rango di città del Granducato di Toscana.
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Alcuni riferimenti sul WEB:
• Una ricca ed esaustiva bibliografia su Pisa medievale è disponibile sul sito di Enrica Salvatori, Ricercatrice in Storia Medievale presso l’Università di Pisa.
• La vicenda delle catene di Porto Pisano può essere letta sul sito di Franco Bampi, che riporta anche una serie di interessanti trascrizioni di documenti del 1860 relativi all’iter della restituzione.
• Il sito gestito da Antonio Figari è veramente interessante e mostra la città di Genova da un punto di vista inedito e “alternativo”. Non è il solito sito didascalico e merita una lettura approfondita.